Urlavo, per ore e ore al giorno.
Nessuno sentiva.
Forse perchè a urlare erano gli occhi, non la gola.
La voce era così poco usata che si era abituata a essere molto bassa, quasi impercettibile.
L’urlo finiva in pancia, nella mia.
E lì’ restava, a macerare dentro.
Nessuno sentiva, ma qualcuno osservando intuiva: “Quando ridi, lo fai solo per pochi istanti. Poi torni triste. Come mai?”
Difficile spiegare l’inquietudine di una vita che ricerca la felicità e che avanza come se fosse sempre sull’orlo della fine.
“Hai gli occhi colorati come le biglie” e io, più che il colore ne avvertivo il peso.
Piangevano, senza far uscire nemmeno una lacrima.
Arrossati e gonfi, ma troppo orgogliosi per cedere.
Oppure troppo timorosi di non riuscire a smettere, se avessero cominciato.
In bilico perenne verso l’indefinito.